Ci sono giorni neri, ma così neri che vorresti solo sprofondare in quel caldo cuscino lasciato troppo presto la mattina (per la precisione quello di F.). Va male a lavoro, a casa, per strada.
Le famiglie sono lontane. I chilometri sono troppi per quell’abbraccio che desideri immensamente. E allora stringi i denti e cerchi di scacciare i cattivi pensieri. Ti autoconvinci che ce la si può fare, che poi non è così nero. Magari è antracite, grafite, grigio scuro.
Arriva anche il freddo in quest’autunno troppo rigido, anche a Roma. Così mentre sei piena di lavoro, piena di pensieri sul lavoro, sul post lavoro, pensi agli amici, alla famiglia. Pensi a cose belle con la speranza che ti torni un timido sorriso. Ma gli altri non stanno così bene, stanno male quanto o più di te e pensi che questa vita fa proprio schifo che non è come te l’hanno raccontata da bambina. E allora ci si concede l’ultimo sforzo. Noveagostodelduemilaquindici. Quello sì, quello mi fa venire il sorriso e anche i brividi.